Il caffè che beviamo dice chi siamo

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Una bevanda al giorno d’oggi molto consumata è senza dubbio il caffè, la cui importazione avvenne per la prima volta nel 1570, quando il padovano Prospero Alpino ne portò diversi sacchi dall’Oriente a Venezia. Esso si diffuse dapprima nelle classi più agiate sino a divenire col passare dei secoli la bevanda più assunta in Italia, che rappresenta il settimo paese al mondo per consumo di caffè: infatti il 73,9% degli italiani lo beve regolarmente e a livello mondiale è il prodotto più commerciato dopo i prodotti petroliferi.

La Dott.ssa Ramani Durvasula, ricercatrice americana e professoressa di Psicologia Clinica presso la California State University, è autrice di un libro che recentemente ha acquisito popolarità dal titolo “You are why you eat”, ossia “Sei perché mangi”, nel quale espone ai lettori uno studio sulla relazione tra abitudini alimentari e aspetti della personalità di un individuo. E la scelta del caffè prediletto rivelerebbe, secondo le sue ricerche, alcuni aspetti della personalità e l’approccio alla propria vita, suggerendo, dunque, una correlazione tra i due dati.
Dallo studio di un campione di oltre mille volontari, di cui sono stati analizzati il comportamento e le abitudini, è emerso che vi fossero dei tratti comuni fra coloro che esprimevano la medesima preferenza circa l’assunzione del caffè.
Ad esempio, coloro che optano per un caffè nero avrebbero profili tradizionalisti, pazienti, ma anche umorali ed adattabili; gli amanti del cappuccino, invece, vantano un’accentuata sensibilità, il desiderio di controllo e una scarsa prontezza nell’affrontare cambiamenti inaspettati ed emergenze. La scelta del caffè freddo caratterizza persone alquanto creative, audaci, spontanee, lungimiranti e spesso temerarie. Il caffè macchiato denoterebbe una personalità rotonda, ossia accomodante, contraddistinta da altruismo e gentilezza. Infine, gli amanti del caffè americano o istantaneo appaiono flemmatici, calmi, rilassati e tendenti a procrastinare doveri anche importanti.
Benché si possa essere tentati di credere che le ragioni dell’analisi siano vane e i risultati ancora meno interessanti ed attendibili, è bene ricordare che gli studi che rintracciano le relazioni tra gusti, preferenze e comportamenti con le diverse personalità sono in costante aumento: un semplice esempio è rappresentato dal fatto che per Ferdinando Dogana, professore ordinario di Psico­logia all’Università Cattolica di Milano, la preferenza per il dolce sia indice di maggiore emotività e attenzione verso gli altri, mentre quella per il salato sia sintomo di marcata indipendenza.
Inoltre, lo psi­cologo del cibo Leon Rappoport, docen­te alla Kansas University, ha affermato che i nostri acquisti alimentari sono collegati alle teorie sulla strut­tura della personalità elaborate da Sigmund Freud. Da tale sistema deriverebbe l’intima relazione esi­stente tra cibo, sesso e aggressività. Come il bimbo attraverso la suzione dal seno ma­terno sperimenta per la prima volta il piacere dei sensi, così l’adulto gode di pasti luculliani volti a soddisfare la sua ingordigia; analogamente in età adolescenziale e non solo frequentemente il disappunto o la rabbia verso i genitori è espresso con inappetenza o abbuffate, comportamenti che conducono se reiterati allo sviluppo di disturbi del comportamento alimentare quali anoressia e bulimia, problematiche tristemente dilaganti al giorno d’oggi.
Maria Elide Lovero
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