200 anni fa nascevano “I Promessi Sposi”

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Fra i numerosi testi letterari succedutisi nella letteratura mondiale ed in particolare italiana, uno dei più emblematici tanto per l’aspetto formale quanto contenutistico è rappresentato da “I promessi sposi”, capolavoro manzoniano apparso fra il 1842 e 1845 nella sua versione definitiva detta, appunto, “quarantana”.
Tuttavia, nel marzo del 1824 Manzoni cominciava la seconda fase di elaborazione del romanzo, procedendo ad una accurata revisione strutturale e linguistica: la materia di

narrazione viene disposta in modo differente e le sezioni digressive e accentuatamente romantiche sono eliminate. Inoltre, da “Fermo e Lucia” il titolo diviene “I Promessi Sposi”.

L’opera, ritenuta da una folta parte della critica il massimo esempio del Romanticismo italiano e contraddistinta da una marcata profondità dei temi, peraltro numerosi, benché sia sovente inscritta nella categoria di romanzo storico, presenta affinità intrinseche con svariate altre tipologie letterarie: appaiono evidenti, infatti, i le
gami col genere picaresco (sorto in Spagna nel XVI sec. e il cui modello è rintracciabile nel “Tom Jones” di Henry Fielding), al cui centro vi è un picaro incarnato da Renzo, che affronta un susseguirsi di peripezie alla ricerca della perduta tranquillità iniziale. Inoltre, al genere precipuo di romanzo storico che affonda le sue origini nell’ “Ivanhoe” di Walter Scott, anch’esso ben noto al Manzoni, si può ricondurre l’idea di Manzoni che il romanzo non deve configurarsi come una storia inventata, bensì deve possedere un carattere di verisimiglianza accentuato, basato su dati storici e scientifici; la narrazione, difatti, è ambientata al tempo della dominazione spagnola ed ispirata a fatti realmente accaduti tra 1628 e 1630, quali, ad esempio, la carestia e i conseguenti tumulti, la guerra del Monferrato, la discesa dei lanzichenecchi e l’epidemia di peste e, ancora, alcune figure ispirate a personaggi reali come Gertrude, l’Innominato, Antonio Ferrer, Fra Cristoforo e il Cardinale Federico Borromeo possono rintracciarsi nella storia come davvero esistiti.
Non mancano, tuttavia, aspetti autobiografici che fanno sovrapporre la figura di narratore eterodiegetico di Manzoni con il personaggio al centro di una vicenda: è il caso, ad esempio, del celebre “Addio ai monti” (cap. VIII), in cui l’alto tenore poetico e lessicale difficilmente riflette l’espressione di Lucia Mondella, benché intimamente afflitta dalla separazione dalla sua terra e casa, ma piuttosto può essere letto come un cantuccio dell’autore in cui egli riflette su come sia difficile abbandonare la propria terra non sapendo cosa si trovi in una nuova. Infine, si intravedono anche i tratti del romanzo di formazione, specialmente nei passi che si soffermano sulla figura di Gertrude (cap. IX e X), nota con l’epiteto di “monaca di Monza”, e Renzo Tramaglino che, dopo numerose peripezie come la giornata del pane e l’ubriacatura (cap. XIV), attraversa a nuoto il fiume Arno a mo’ di battesimo, che tratteggia la purificazione dagli eccessi e peccati commessi.
Maria Elide Lovero
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