Le utopie architettoniche di Napoli: le Vele e Piazza Grande

Viaggio tra due grandi progetti architettonici del capoluogo campano

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Negli anni ’60 del secolo scorso, l’Italia visse il periodo del boom economico, che modificò definitivamente l’immagine del nostro paese, da realtà poco più che rurale a inizio secolo a realtà competitiva dei nostri giorni. Lo sviluppo economico fu accompagnato e sostenuto da un forte aumento demografico, che pose il problema degli spazi necessari ad accogliere una popolazione sempre più vasta.

Riprendendo, quindi, la lezione del razionalismo degli anni Venti, interpretando tali nozioni alla luce delle necessità attuali, nacquero nuove correnti architettoniche, tra le quali l’architettura organica e l’arcologia. La prima mirava alla creazione di unità abitative integrate con l’ambiente circostante, la seconda alla progettazione di edifici che fossero autonomamente sostenibili, mantenendo un’ecologia interna nonostante la forte densità abitativa. Spesso, queste idee si armonizzarono con un’idea di economicità della costruzione, implicando lo sviluppo del brutalismo, caratterizzato da strutture realizzate con cemento a vista.

Una delle aree da sempre caratterizzate da un’elevata densità abitativa è proprio quella della città metropolitana di Napoli dove, a partire dagli anni ’60, furono realizzati una serie di complessi abitativi secondo i dettami delle nuove correnti. I due esempi che analizzeremo oggi sono quello delle Vele di Scampia e quello di Piazza Grande, nel quartiere Arenaccia.

Le Vele di Scampia rappresentano una realtà tristemente famosa, legata a episodi terribili di guerre armate tra i diversi clan della Camorra. Una realtà che solo recentemente è stata definitivamente riqualificata, con l’apertura addirittura di una sede distaccata dell’Università Federico II. Nonostante la triste nomea, al momento del loro concepimento le Vele dovevano rappresentare un qualcosa di estremamente innovativo, un modello per le periferie italiane. Furono progettate dall’architetto Francesco di Salvo e originariamente comprendevano sette diverse vele. L’idea era quella di compensare la riduzione dell’abitazione riservata alla singola famiglia con la realizzazione di ampie aree comuni dotate di servizi, dove la collettività poteva integrarsi. Ogni complesso doveva presentare due edifici paralleli, intervallati da un ampio vuoto centrale dove sarebbero state realizzate le scale di accesso agli appartamenti. Il progetto originario fu talmente apprezzato da essere riproposto addirittura in altre parti del mondo: sullo stesso modello fu realizzato il Villaggio Olimpico di Montreal.

Come, purtroppo, spesso accade, il grande e rivoluzionario progetto si scontrò con la realtà. Le strutture furono realizzate con materiali scadenti, compreso l’amianto, e i due nuclei dei singoli edifici furono troppo ravvicinati, pur di risparmiare spazio, ma creando degli ambienti scarsamente illuminati e areati. Poco o nulla fu destinato ai servizi e alle attività di svago per i bambini. Ciò, unito allo scenario terribile del terremoto del 1980, che segnò la progressiva occupazione, anche abusiva, delle unità di appartamenti da parte di senza tetto e sfollati, creò quel mix terribile che esplose con le guerre di mala. Fortunatamente, l’intero quartiere è oggi oggetto di una forte riqualificazione: tre delle sette vele originarie sono state abbattute e delle quattro rimanenti solo una sarà mantenuta a ricordo di ciò che è stato. Gli spazi saranno progressivamente occupati da un parco urbano e una fattoria sociale che, insieme alla sede dell’Università, dovrebbero finalmente migliorare la situazione della periferia nord della città.

Il complesso di Piazza Grande, meno famoso rispetto alle Vele, sorge nel quartiere dell’Arenaccia, nella zona occupata da un antico acquedotto romano che ha portato alla denominazione dell’area come “Ponti rossi”, per il colore dei mattoni romani. Fu progettato dall’architetto Aldo Loris Rossi, resosi autore di molti edifici del capoluogo campano. Il complesso, che vinse il premio dell’Istituto Nazionale di Architettura per l’anno 1989, si sviluppa come un grande cerchio, che circonda una vasta piazza circolare originariamente dotata di aiuole e di una piscina scoperta, oggi di un campetto da calcio. Lo stesso andamento digradante della struttura non fa altro che creare una sorta di tribuna attorno alla piazza.

Attorno all’edificio-tribuna si ergono dodici torri cilindriche, conosciute dai napoletani come “bicchieri”, alcune delle quali destinate ad ospitare le scale d’accesso, altre destinate ad appartamenti. Complessivamente, Piazza Grande ospita più di duecento appartamenti nei piani superiori, mentre nei piani interrati ospita magazzini e garage per i residenti. Il mega-edificio si caratterizza, inoltre, per la presenza di percorsi diversi da destinarsi ai pedoni e ai veicoli, realizzati su livelli diversi, il tutto in un’ottica di integrazione dei diversi aspetti dell’esistenza. L’edificio, pur con tutti i suoi pregi e dettagli architettonici che attirano l’occhio del visitatore, necessiterebbe di un restauro serio per ripristinare lo stato dei luoghi.

Entrambi i complessi sono spesso presenti in produzioni cinematografiche o video musicali, tra i quali ricordiamo la serie Gomorra e i brani di Liberato.

Giuseppe Mennea

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