9 maggio 1978: Peppino Impastato viene ucciso dalla mafia

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Nato a Cinisi, a Palermo, il 5 gennaio del 1948, Giuseppe Impastato fu, prima che giornalista e antimafioso, un uomo dall’animo nobile.

Conosciuto nel paese per i rapporti della famiglia con Cosa nostra, Peppino aveva capito ben presto che lui invece, la mafia, l’avrebbe combattuta.

Già a diciott’anni, nel 1968, si iscrisse al PSIUP (Partito Socialista Italiano Di Unità Proletaria) e fondò con altri suoi amici un giornale, “L’idea socialista”, quasi subito censurato; poco dopo partecipò alle proteste dei contadini e degli abitanti delle campagne che erano stati sfrattati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo.

Nel 1975, ispirato dalle lotte di Danilo Dolci (leggi l’articolo su Dolci qui) e Mauro Rostagno, avviò il circolo Musica e cultura, punto di incontro per molti ragazzi del paese, che organizzava dibattiti, concerti ed eventi.

Peppino durante lo sciopero per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo

Così due anni dopo, fondò Radio Aut, una radio libera di controinformazione autofinanziata, il cui programma principale era “Onda Pazza a Mafiopoli” dove, tramite la satira, prendeva in giro tutti i mafiosi che popolavano i paesi di Cinisi e Terrasini (sede fisica della radio), e in particolare Gaetano Badalamenti, boss di Cosa nostra. L’anno successivo si candidò con il partito Democrazia Proletaria, ma la notte tra l’8 e il 9 maggio fu prima ucciso con una pietra e poi fatto esplodere con una carica di tritolo.

Le elezioni però le vinse comunque: i cittadini, infatti, votarono simbolicamente il candidato defunto, che ottenne ben 199 voti e il cui posto venne preso da un altro esponente del partito.

La stampa, le forze dell’ordine, e la magistratura depistarono le indagini con grande capacità e imputarono la colpa della morte ad un fallito attentato terroristico ordito dallo stesso Impastato. Solo grazie alle continue insistenze della madre Felicia, del fratello Giovanni e del Centro siciliano di Documentazione le indagini sono state riaperte e, riconosciuta la matrice mafiosa, nel 2001 sono stati condannati al carcere i boss Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti.

Simone Lucarelli

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