Racconti dalla Puglia abbandonata – Le quattro masserie

Un esempio interessante di complesso agricolo extra moenia

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In un passato non troppo remoto, la difficoltà dei trasporti e la poca sicurezza che caratterizzavano le strade di campagna spingevano i lavoratori della terra a evitare un andirivieni dalle rispettive città di appartenenza e, piuttosto, ad abitare gli stessi luoghi in cui lavoravano. Sorsero, quindi, delle vere e proprie frazioni o colonie attorno alle masserie, fenomeno che ha caratterizzato tutta la storia della nostra regione e che fu potenziato negli Anni Venti del secolo scorso in seguito alla Riforma Fondiaria e ai consorzi di bonifica sorti, ad esempio, in Capitanata.

Andiamo, quindi, a considerare un esempio molto interessante di complesso agricolo che sorge ai confini della sesta provincia. Tale complesso, si caratterizza per la presenza di quattro diverse strutture, alcune essenzialmente a carattere produttivo, altre, invece, a carattere gentilizio, usate, in passato, come residenze estive delle famiglie dei proprietari terrieri. Le strutture sorgono all’interno di un vasto appezzamento di terra usato per la coltivazione della vite e alberi da frutto e comprende alcune strutture più antiche, che risalgono probabilmente al Seicento, e una, in particolare, più recente, di epoca Ottocentesca.

Il primo edificio che troviamo è molto simile ad altri che si trovano anche nella nostra provincia: esso presenta al piano terra i locali destinati all’attività agricola e al piano superiore (oggi inaccessibile a causa di un crollo) gli ambienti destinati all’abitazione. La particolarità è la presenza di una garitta con feritoie nel centro della facciata. Seguono, poi, due edifici coevi al precedente, il primo organizzato su un unico livello e destinato a deposito, il secondo identico al primo ma privo di strutture di difesa, affiancati da alcune serre dismesse. Queste prime strutture non presentano particolari elementi di pregio degni di nota.

Il complesso termina con l’edificio ottocentesco, che assume i tratti tipici della villa, costituito dall’abitazione, una cappella privata ed ulteriori locali adibiti a deposito. La facciata si articola su tre aperture al piano terra come anche al primo piano e si caratterizza per una colorazione rossa della facciata. Per raggiungere il piano superiore è presente un’unica rampa di scale piuttosto malconcia a causa dei ripetuti furti, cui si accede da una delle facciate laterali. Già nell’androne si notano alcuni elementi fortemente distintivi della struttura rispetto agli altri edifici del complesso, ma la meraviglia è massima nel momento in cui si giunge agli ambienti del primo piano. Questi, che si articolano tutti attorno all’androne che funge da atrio coperto, sono completamente affrescati e presentano decorazioni ottocentesche di vario tipo.

Dall’ingresso si accedeva originariamente alla cucina, oggi crollata, e al salone di rappresentanza: in questo ambiente, decorato sulle pareti da vedute naturali, domina dal soffitto un’aquila, raffigurata nell’atto di tenere uno scettro tra i suoi artigli. Su una parete un graffito con una citazione di Baudelaire vìola una veduta che rappresenta, probabilmente, il Gargano. Rimane anche qualche traccia dell’antico mobilio della villa. Gli ambienti successivi, presumibilmente disimpegni che conducono agli appartamenti privati nell’altra ala della struttura, ritroviamo ancora importanti decorazioni ottocentesche, anche se in alcuni punti l’abbandono ha già provocato dei danni irreparabili.

La visita si conclude con un ambiente decorato da una rappresentazione della madonna di Guadalupa, visibilmente più recente rispetto alle altre decorazioni, probabilmente risalente al cambio di proprietà della villa, che fu donata nel 2004, si apprende da un’iscrizione, probabilmente a un ente religioso per farne un luogo di fede. Ad oggi l’intero complesso giace completamente inutilizzato, né si riesce a risalire ad ulteriori informazioni storiche sulla vita delle strutture.

Giuseppe Mennea

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