Il Monastero di Santa Caterina nel Sinai: una preoccupante minaccia al cristianesimo in oriente

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Dopo 15 secoli, uno dei monasteri cristiani più significativi e antichi del pianeta, il Monastero di Santa Caterina sul monte Sinai, ha perso la propria indipendenza gestionale, diventando proprietà dello Stato egiziano a seguito di una sentenza del tribunale di Ismailia. Questa decisione solleva gravi preoccupazioni per il presente e il futuro del monastero e della comunità che lo abita.

Fondato nel VI secolo d.C. da Giustiniano, il Monastero di Santa Caterina ha resistito a conflitti, invasioni e persecuzioni grazie al suo status di “Vakuf”, un luogo sacro da tutelare secondo la tradizione coranica. Rispettato anche dai beduini del deserto del Sinai, il monastero è stato riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. I suoi preziosi tesori, tra cui icone, manoscritti e biblioteche, erano gestiti da una comunità di venti monaci, che godevano di ampia libertà all’interno del Patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme.

La sentenza emessa il 28 maggio scorso ha di fatto espropriato i beni del monastero, trasferendoli sotto la gestione statale, mentre ai monaci sono imposte restrizioni di accesso a determinati immobili. La loro permanenza nel monastero è ora limitata a scopi di culto e alle condizioni stabilite dal nuovo proprietario statale.

Il sito orthodoxia.info ha descritto l’applicazione della sentenza come «una delle più gravi violazioni delle libertà religiose e individuali degli ultimi secoli», in un periodo già difficile per il Medio Oriente. Questa decisione arriva dopo un lungo periodo di controversie legali che hanno visto lo Stato egiziano cercare di ridurre l’autonomia gestionale del monastero.

Alcuni funzionari egiziani giustificano la misura come un atto di salvaguardia del patrimonio culturale. L’archeologo Abdel Rahim Rihan ha affermato che i beni immobili del monastero rientrano sotto le leggi sui beni culturali, sostenendo che la decisione garantirà la valorizzazione a beneficio del “patrimonio mondiale e dei monaci”. Tuttavia, i monaci considerano questa azione come un’espulsione de facto dal loro stesso monastero.

La decisione segna la conclusione di una lunga offensiva legale contro i monaci di Santa Caterina, iniziata durante il governo dei Fratelli Musulmani, che mirava a esercitare un maggiore controllo sul monastero. Secondo alcuni analisti, la situazione evidenzia come il presidente Abdel Fattah Sisi non riesca a controllare apparati dello “Stato profondo”, alcuni dei quali legati a gruppi salafiti.

Il Cairo si trova ora a dover gestire una crisi diplomatica con la Grecia, che ha reagito duramente alla decisione governativa sul monastero. Questo avviene in un contesto di sviluppi tumultuosi in Palestina, che interessano anche la penisola del Sinai, una regione in cui frange jihadiste hanno già minacciato il monastero in passato.

La reazione dei monaci è stata intensa. È già in programma una campagna internazionale di sensibilizzazione e informazione rivolta alle Chiese e ad altre comunità religiose, con l’obiettivo di ottenere la revoca della decisione. Immediata è stata anche la reazione dell’Arcivescovo greco ortodosso di Atene, Ieronymos, che ha dichiarato: «Non voglio e non posso credere che oggi l’ellenismo e l’Ortodossia stiano vivendo un’altra storica “conquista”». Ha aggiunto che questo faro spirituale dell’Ortodossia e dell’ellenismo si trova ora ad affrontare una questione di sopravvivenza.

La situazione del Monastero di Santa Caterina rappresenta non solo una sfida per la comunità monastica, ma anche un campanello d’allarme per la libertà religiosa e la preservazione del cristianesimo in Oriente.

Antonio Calisi

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