Quella volta in cui la Puglia ha evitato la Guerra Nucleare

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Il Parco Nazionale dell’Alta Murgia, recentemente divenuto anche Geoparco Unesco, è il più importante scrigno di biodiversità della Puglia. Tuttavia, in pochi conoscono il ruolo che l’altopiano murgiano ebbe nel corso della Guerra Fredda, quando quella che oggi è un’area naturale ospitò dieci basi nucleari dell’Alleanza Atlantica, andando a determinare le sorti mondiali al momento della crisi di Cuba.

Nel Secondo Dopoguerra, il ruolo americano nei Paesi dell’Europa Occidentale crebbe a dismisura, basti pensare al famoso Piano Marshall che permise la ripartenza dell’economia italiana, completamente smantellata a causa del conflitto. Ma gli americani non agivano certo per beneficenza. L’Europa Occidentale, infatti, costituiva all’epoca l’ultimo bastione utile all’Alleanza Atlantica per fronteggiare il blocco sovietico, delimitando le sfere d’influenza delle due maggiori potenze uscite vittoriose dal conflitto.

Fu così che, a seguito di accordi e alleanze tra il presidente americano Eisenhower e il presidente del consiglio Fanfani, si decise di costruire alcune basi militari Nato nel cuore dell’altopiano murgiano. Queste, facendo il paio con altre basi realizzate in Turchia nella regione di Izmir, sarebbero servite come deterrente nei confronti dell’URSS, che invece controllava interamente l’area balcanica.

Vennero costruite 10 basi, dipendenti dalla base Nato di Gioia del Colle e sotto il controllo diretto dell’autorità americana stanziata a Napoli. Vennero scelte aree perlopiù rurali e scarsamente abitate, dove le basi sarebbero state al riparo da occhi indiscreti. In particolare, queste vennero realizzate a Gioia, Mottola, Laterza, Altamura, Gravina, Quasano, Irsina, Acquaviva e Matera.

Le basi presentavano tutte la stessa conformazione: triangolari con i vertici smussati, con un lato di circa 300 metri e una superficie complessiva di 10 ettari. Poche strutture in muratura, perlopiù alloggi e ambienti di controllo, e un terrapieno.

Ma l’importanza delle basi stava nel fatto di ospitare ciascuna tre missili Jupiter, alti 26 metri e con un diametro di 3, ciascuno armato con una testata nucleare e dislocati in posizione eretta, pronti alla partenza. La testata era costituita da una bomba H della potenza di 1,4 megatoni, 100 volte più potente della bomba di Hiroshima.

Il controllo delle testate avveniva secondo la politica della doppia chiave: avrebbero colpito un bersaglio scelto dagli americani dopo l’autorizzazione di un esponente italiano. I missili avevano una portata tra i 1000 e i 5500 km, e potevano quindi raggiungere buona parte dei territori del blocco sovietico.

Nelle basi erano però assenti bunker. Si verificarono, inoltre, alcuni incidenti, allorquando dei fulmini colpirono i missili, che non esplosero solo per la presenza di sistemi di raffreddamento. Dopo il verificarsi di svariati incidenti di questo genere, si decise di installare un parafulmine per ciascuna base.

Le basi furono completamente operative tra maggio 1960 e marzo 1961. Il 20 gennaio 1961 si registrò un fatto curioso, allorquando un aereo spia bulgaro (Mig 17) si schiantò in un uliveto nei pressi di Acquaviva, mentre era nell’atto di individuare la posizione della relativa base Jupiter. Il giovane pilota, Miliusc Solakov, affermò, però, di essere scappato dalla Bulgaria per ragioni personali (si notò che l’aereo era privo del carburante necessario a tornare indietro e l’apparecchiatura fotografica non era interamente funzionante).

La storia delle basi Jupiter ha termine a ottobre 1963: dopo che l’anno prima era scoppiata la Crisi di Cuba, con un accordo segreto tra Kennedy e Krusciov, si decise per il ritiro delle armi nucleari da Cuba a patto che gli americani smantellassero le basi Jupiter nell’Alta Murgia e in Turchia.

Gli americani, quindi, installarono i più moderni missili Polaris, che vennero caricati sui sommergibili dislocati nel Mediterraneo, costituendo un obiettivo molto più difficile da individuare da parte sovietica.

Le basi vennero quindi abbandonate e tornarono a essere impiegate come terreno agricolo. Rimangono però un simbolo del ruolo storico ricoperto dalla Puglia e dall’Italia in uno dei momenti più bui della storia dell’umanità.

Giuseppe Mennea

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