Lo spettrale Lago Mefite

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In provincia di Avellino, precisamente a Rocca San Felice, si trova un luogo naturale dall’aspetto spettrale. Sorge in una vasta piana al centro di una foresta un piccolo laghetto di origine solfurea, che prende il nome di Lago Mefite e che ha una storia millenaria.

Dal punto di vista naturalistico, rappresenta un raro fenomeno di superficie in area non vulcanica: la presenza di elementi tettonici che permettono la fuoriuscita di anidride carbonico e acido solforico dal sottosuolo porta a un ribollimento dell’acqua del lago.

Il risultato è un odore acre simile a quello di una solfatara e un rumore sinistro che si diffonde per tutta la Valle d’Ansanto. Le stesse esalazioni annullano la presenza di vegetazione per un raggio di ben 40 metri all’interno della foresta.

L’area era considerata dai Romani come una delle porte degli Inferi, tanto da essere citata nell’Eneide persino da Virgilio (libro VII, vv. 563-571).

Mefite era il nome di una divinità venerata dai popoli dell’Italia meridionale in epoca preromana. A questa divinità era dedicato anche un tempio costruito nell’area e individuato già a fine Settecento dagli archeologi.

Nella zona del lago, infatti, numerosi sono i reperti rinvenuti, tra cui statuette in bronzo e terracotta raffiguranti Marte. Il santuario pagano venne abbandonata già nel III secolo a.C., dopo la sconfitta degli Hirpini e la conquista dell’area da parte dei Romani in seguito alla caduta di Cartagine.

In epoca paleocristiana, San Felice da Nola si insediò presso le rovine dell’antico tempio realizzando una chiesetta dedicata a Santa Felicita, che soppiantò i precedenti culti pagani.

La particolarità del luogo e l’azione dei gas hanno mineralizzato i reperti in legno più antichi (alcune sculture a figura umana), che quindi sono giunti fino a noi del tutto intatti. La maggior parte di questi reperti sono oggi osservabili nel Museo Irpino di Avellino.

Uno dei ritrovamenti più importanti si riferisce a una collana d’ambra con cinque pendagli con volti femminili e alcuni scarabei. L’unicità del reperto è data proprio dal materiale, giunto tramite il commercio chissà da dove, essendo raro in Irpinia.

Oltre alle già citate statue di Marte, sono state rinvenute alcune raffigurazioni di Venere, Eracle, Atena e Giunone, che dimostrano come pian piano l’arte indigena dei popoli italici sia stata soppiantata da quella più raffinata propria dei Romani.

Il luogo è visitabile, presenta alcuni sentieri e un’area sosta con tavole esplicative e un binocolo per osservare dalla distanza il fenomeno naturale. La presenza delle esalazioni tossiche rende estremamente pericoloso l’avvicinarsi al lago e si sconsiglia vivamente di superare il limite indicato.

Giuseppe Mennea

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