Racconti dalla Puglia abbandonata – La villa distrutta dai nazisti

La storia di un edificio gentilizio che si intreccia alle vicende belliche del '43

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Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Puglia e, specificatamente, la Capitanata, furono al centro della campagna di liberazione della penisola italiana ad opera delle forze Alleate. Dopo aver praticamente distrutto la città di Foggia con i pesanti bombardamenti del ’43, ad opera della US Air Force e della RAF, gli anglo-americani occuparono questa parte della nostra regione per utilizzarla come piattaforma di lancio per la liberazione dell’Italia centro-settentrionale. In questo contesto particolare, si inserisce la storia di un’antica struttura gentilizia di pregio, che solo per il fatto di trovarsi nei pressi dell’accampamento americano, venne incendiata dai nazisti in ritirata. Ma procediamo per gradi.

L’importanza strategica di Foggia nel Secondo Conflitto Mondiale fu straordinaria: la presenza della stazione, con il suo nodo ferroviario a cavallo tra più regioni, nonché dell’aeroporto, attrasse da subito gli Alleati, con l’obiettivo di occupare la città e creare una testa di ponte per la successiva risalita lungo la penisola. I bombardamenti iniziarono il 28 maggio 1943, quando i primi bombardieri B-24 e B-18 sorvolarono i cieli del capoluogo della Capitanata. Il successivo 8 settembre, quando venne firmata la resa, i nazisti decisero quindi di occupare Foggia, Cerignola e Manfredonia, salvo poi ritirarsi il 28 settembre. L’intera provincia venne definitivamente liberata il 10 ottobre.

La Capitanata, nonostante i pesanti bombardamenti subiti e le numerose vittime (di cui ancora oggi non si sa il numero preciso), fu subito attrezzata per la presenza delle aree pianeggianti del Tavoliere con 30 diversi aeroporti e piste d’atterraggio; venne potenziato l’attuale Gino Lisa (che aveva autorità anche su Palese) e realizzata la base di Amendola, tra Foggia e Manfredonia. Dalla Capitanata, in pratica, partirono i bombardieri che andarono a colpire l’area Balcanica e l’Italia centro-settentrionale, coprendo l’avanzata contestuale delle truppe di terra.

Una di queste basi venne, quindi, allestita anche nella vicina Lucera, con un accampamento che sorgeva proprio nelle campagne tra Foggia e il centro dauno. A testimonianza di ciò, esiste una collezione di foto realizzata dall’allora soldato Albert Chance, che testimoniano la vita in area foggiana in quel periodo. Da tale collezione, attualmente conservata nell’archivio del Gettysburg College, si apprendono anche gli effetti della ritirata dei nazisti dalla nostra regione. Durante la loro risalita, infatti, inflissero una serie di danni e ruberie a parecchie proprietà e luoghi posti a ridosso dei principali luoghi strategici. Tra questi, incendiarono anche la struttura di cui parleremo ora, una villa in stile moresco di un’importante famiglia di Lucera, di cui non riveleremo il nome a protezione dei luoghi, già di per sé molto compromessi.

La struttura, che sorge tra Foggia e Lucera a ridosso dell’area che poi divenne accampamento delle truppe Alleate, pare sia stata costruita nel 1880. Lo stile è eclettico, con influenze moresche e gotiche: la facciata, infatti, presenta particolari dettagli come archi ogivali e decorazioni fiorite che rimandano a tali correnti artistiche. La pianta della struttura è molto semplice, praticamente quadrata, ma della struttura originaria ben poco rimane, proprio a causa dello “sfregio” realizzato dalle truppe tedesche: è lo stesso Albert Chance a informarci, con una foto intitolata “Mansion in front of camp gutted by Germans”, cioè “Magione nei pressi dell’accampamento devastata dai tedeschi”.

L’edificio si sviluppa su due livelli, anche se le murature originarie sono solo quelle del piano terra (il piano superiore è praticamente un guscio vuoto, permanendo solo le pareti esterne). Al livello inferiore, però, si è straordinariamente conservato l’ambiente forse più scenografico dell’intera villa: lo scalone d’onore. Questo è a doppia rampa e presenta decorazioni ad affresco che occupano tutte le superficie disponibili. Queste, parzialmente leggibili e parzialmente ancora annerite dal fuoco, presentano elementi naturali e animali, in particolare volatili, rappresentati all’interno di un reticolato fittizio realizzato a trompe-l’oeil, cioè con un “inganno” visivo.

Il piano superiore, come anticipato, è completamente svuotato delle caratteristiche originarie, probabilmente a causa di crolli o interventi successivi che hanno eliminato il poco che era stato risparmiato dalle fiamme. Permane, però, un ambiente centrale voltato che funge da atrio coperto. Questo è scenograficamente sovrastato da un torrino con oculo, che permette l’ingresso della luce, che irradia la sala dall’alto.

Giuseppe Mennea

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