Pitagora, il fautore dell’alimentazione vegetariana

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Al filosofo greco Pitagora, nato a Samo nel 570 a.C., la tradizione attribuisce numerosi contributi alla matematica, tra cui la celebre elaborazione del teorema sul triangolo rettangolo che porta il suo nome e il teorema della somma degli angoli interni nel triangolo. Tuttavia nella sua scuola, fondata a Crotone in Magna Grecia dove si rifugiò a seguito dell’invasione persiana, discettava, oltre che sulle scienze matematiche apprese da Fenici, Egizi e Caldei, anche di filosofia, musica e metempsicosi, ossia la dottrina che crede nella sopravvivenza dell’anima dopo la morte e nel suo passaggio tra corpi; e nel “bios pythagorikos” (“la vita pitagorica”), fra i principi da lui ritenuti fondamentali per una vita corretta, vi è l’invito ad intraprendere una dieta vegetariana, configurando, dunque, Pitagora come l’iniziatore nel pensiero occidentale del vegetarianismo. Egli, probabilmente soggetto all’influenza orfica e induista, riteneva che astenersi dal consumo di carne e pesce non solo purificasse l’organismo e garantisse un miglior stato di salute, ma che gli essere umani potessero reincarnarsi in animali e, ancora, che vi fosse uno stretto legame tra animale e uomo che rendeva illecito ucciderli. Così come il filosofo sosteneva che fosse ingiusto e contrario alla natura umana portare indumenti e calzature derivati da essi e sacrificarli agli dèi in libagione. Un compendio del suo pensiero è rappresentato, difatti, dalla sua nota sentenza “coloro che uccidono gli animali e ne mangiano le carni saranno più inclini dei vegetariani a massacrare i propri simili”, idee che verranno riprese in considerazione nel II secolo d.C. da un altro greco eccellente quale Plutarco, il quale nell’opera “Sul mangiare carne”, attraverso una attenta disamina, condanna il cibarsi di carne definendolo una pratica innaturale e un sacrificio non necessario alla nostra sopravvivenza.
Ancora una volta vi è modo di constatare come la presunta dicotomia tra mondo antico e moderno non sia che un tentativo retorico e velleitario di cesura storica, volto a semplificare la complessità del reale e l’analisi interdisciplinare.

Maria Elide Lovero

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