A seguito della famigerata impresa di Fiume, D’Annunzio insieme ad altri suoi generali ed amici, tra cui spiccava il nome del socialista Alceste De Ambris, crearono la cosiddetta “Carta del Carnaro”, il primo passo dell’annessione di Fiume all’Italia, la coronazione del sogno del Vate di creare l’utopica città del Sole.
La Carta, infatti, dichiarava che la nuova città-stato, nell’attesa di essere unita all’Italia, sarebbe stata una democrazia diretta fondata sul lavoro produttivo e su grandi autonomie funzionali e locali. In questo stato non ci sarebbero state differenze “di sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione” (art. IV) tra i cittadini, e tutti sarebbero stati uguali davanti la legge. Ognuno sarebbe stato libero di professare liberamente la propria religione e di costruire i propri luoghi di culto; di esprimersi e riunirsi liberamente; ogni cittadino, di entrambi i sessi, avrebbe avuto diritto a un corso completo di istruzione scolastica, a strutture per l’attività fisica, a un salario minimo, ad un’assistenza in caso di infermità e una pensione per la vecchiaia, al habeas corpus e ad un risarcimento in caso di abuso di potere.
Il principio generatore della costituzione era la bellezza: “la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l’uomo rifatto intiero dalla libertà; l’uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono; il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo. (art. XIV)”.
Nonostante tutto l’impegno degli autori, lo statuto non venne mai applicato e rimasero in vigore le leggi municipali, sino al famigerato Natale di sangue.
Simone Lucarelli