L’eclettismo a Bari – Il Palazzo Ingami-Scalvini

Un edificio unico, che mette Bari in diretta connessione con l'architettura di altre città della Penisola

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È uno degli esempi meglio riusciti di architettura eclettica barese, che spicca per la sua particolarità su tutti gli edifici circostanti, imponendosi in diretta correlazione con esempi ben più famosi di altre città italiane: è il Palazzo Ingami Scalvini, tra via Cairoli e via Putignani.

L’edificio, realizzato nel 1924 con la finalità di divenire la sede della società dell’ingegnere Ulrico Ingami, fu progettato dal romano Cesare Augusto Corradini, autore, tra gli altri, anche del più celebre Palazzo Fizzarotti. L’origine dell’architetto progettista e la facciata dell’edificio sembrano creare un collegamento ideale con l’architettura della Capitale, in particolare il quartiere Coppedè, trionfo dell’eclettismo e sorto appena un decennio prima su progetto dell’omonimo architetto fiorentino.

Come il quartiere romano, anche l’edificio barese appare esageratamente decorato: la facciata, infatti, divisa idealmente in due livelli, uno inferiore rivestito in bugnato e uno superiore decorato da laterizi, appare impreziosita da bifore e monofore festonate e ricche di bassorilievi. Sulle paraste e nelle mensole che sostengono le balconate in pietra sono ripresi i soggetti tipici del bestiario medievale, come draghi e leoni, che fanno assomigliare la facciata del Palazzo a quella di una cattedrale romanica.

Fanno, poi, bella mostra di sé alcune targhe con motti latini come “Per aspera ad astra” e “Faber est suae quisque fortunae”. Tali frasi, assieme alla rappresentazione dei segni zodiacali sull’ultimo cornicione e alla presenza di particolari simboli come il martello e la ruota dentata parrebbero ricondurre le decorazioni a temi tipici della massoneria, di cui il Corradini era affiliato. Ulteriori decorazioni sono realizzate in ferro battuto, come anelli e torciere.

La struttura comprende, oltre al piano terra, ben quattro livelli. Il primo, una sorta di ammezzato, decorato da bifore più simili alle forme liberty che a quelle “neo-medievali” del resto dell’edificio; il secondo, che fa idealmente da sostegno al terzo con una serie di colonnine e mensole, presenta i vari elementi analizzati in precedenza, e quindi bifore e monofore che riprendono i canoni dell’arte medievale; l’ultimo piano, separato dagli altri da una cornice marcapiano, presenta un alternarsi di monofore e finestre cieche, oltre che una decorazione a mosaico. All’interno dell’edificio completano l’opera una serie di dipinti in stile neogotico e neoromanico dei fratelli Prayer, già attivi nell’aula magna dell’Ateneo e nel Kursaal Santalucia.

Giuseppe Mennea

 

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