Un pezzo di Napoli a Taranto: il Cappellone di San Cataldo

Le vicende storiche di un vero e proprio trionfo dell'arte barocca

  • 0
  • 768 visualizzazioni

Quando in Puglia si pensa al Barocco, subito vi si associa la città di Lecce, con i suoi splendidi e a volte esagerati edifici civili e religiosi. Esiste, però, un esempio di arte barocca che nulla ha da invidiare ai più noti edifici leccesi e che si colloca sulla stessa lunghezza d’onda dell’arte napoletana del Seicento. Stiamo parlando del Cappellone di San Cataldo, un ambiente adiacente alla cattedrale di Taranto realizzato per conservare le reliquie e la statua argentea del santo.

La costruzione fu fortemente voluta dal napoletano Tommaso Caracciolo dei principi di Avellino, vescovo del capoluogo ionico, nel contesto più ampio dei rimaneggiamenti della cattedrale, che era stata colpita da un terribile incendio. La costruzione fu resa nelle sue linee essenziali ma non completata sotto il Caracciolo, che morì nel 1663. Il progetto, anche se testimonianze vere e proprie sono inesistenti, fu affidato al celebre Cosimo Fanzago: gli studiosi sono su questo punto concordi presentando il Cappellone gli elementi e le soluzioni tipicamente adottati dal Fanzago in altre sue opere, ad esempio la cappella Cacace in San Lorenzo Maggiore a Napoli.

I lavori durarono più di un secolo e videro impegnate molte maestranze attive nel capoluogo campano, tra i tanti Giovanni Lombardelli e Antonio Ragozzino. Nel 1713 furono commissionati i lavori per la realizzazione degli affreschi e il rivestimento in marmo delle pareti dell’anticamera della cappella. Nel 1771 era invece commissionata la realizzazione della facciata e della cancellata in ottone.

L’anno seguente, invece, l’allora vescovo Francesco Saverio Mastrilli stipulò un contratto per la realizzazione di ben cinque statue per il Cappellone ad opera del celeberrimo Giuseppe Sanmartino, lo scultore che aveva lavorato a Napoli per il principe Raimondo di Sangro nella Cappella Sansevero realizzando il capolavoro del Cristo velato. Le statue furono scolpite direttamente a Napoli, da cui sarebbero partite via mare per raggiungere Taranto, con viaggio completamente a spese dei deputati della Cappella di San Cataldo.

Nel 1774 fu poi commissionato il pavimento a Filippo Beliazzi, che era stato anche attivo a Napoli dove aveva realizzato la balaustrata della Certosa di San Martino. In seguito, il Sanmartino fu nuovamente impegnato per il Cappellone alle committenze del nuovo vescovo, il napoletano Giuseppe Capecelatro, realizzando per Taranto alcune delle sue ultime opere, considerato che morì nel 1793. Nel frattempo è realizzato anche l’organo, collocato nell’anticamera. Gli ultimi dettagli furono realizzati nel 1804, quando il Cappellone può considerarsi definitivamente completato.

Il Cappellone appare come un tutt’uno, nonostante le difficoltà e i lunghi lavori di realizzazione. Fulcro dell’ambiente è sicuramente l’altare principale, decorato da lapislazzuli e madreperla, che conserva le reliquie del santo. Al di sopra dell’altare, in una nicchia protetta da una porta in argento, è custodita la statua di San Cataldo, anch’essa realizzata in argento. Ai lati, sui pilastri, compare lo stemma del Capitolo della Cattedrale e quello della città di Taranto.

Un pezzo di Napoli a Taranto, quello del Cappellone di San Cataldo, che più e più volte è stato definito dai critici come un vero e proprio trionfo del barocco.

Giuseppe Mennea

L’antico borgo di Sovereto
Articolo Precedente L’antico borgo di Sovereto
TERMINATO IL RESTYLING DI VIA S. MARIA DEGLI ANGELI SENZA AVER RIPRISTINATO IL BASOLATO PIU’ DISSESTATO
Prossimo Articolo TERMINATO IL RESTYLING DI VIA S. MARIA DEGLI ANGELI SENZA AVER RIPRISTINATO IL BASOLATO PIU’ DISSESTATO
Articoli collegati

Lascia un commento:

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I tuoi dati personali verranno utilizzati per supportare la tua esperienza su questo sito web, per gestire l'accesso al tuo account e per altri scopi descritti nella nostra privacy policy.