Supereroi senza mantello: Lucia Pisapia Apicella

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Nel pieno del secondo conflitto mondiale si configurava all’ordine del giorno qualsivoglia genere di violenza e sopruso: a seguito dello sbarco degli alleati a Salerno l’8 settembre 1943 e dei sanguinosi scontri che si verificarono, soprattutto nelle zone circostanti la cittadina campana di Cava de’ Tirreni, centinaia di corpi giacevano insepolti, in stato di abbandono nelle strade e nei campi, creando, così, dei funerei tableaux vivants; la gente locale e le autorità, infatti, si adoperavano, con l’ausilio degli scarsi mezzi allora a disposizione, solo per trovare una soluzione alla fame e malnutrizione dilaganti.
Tuttavia Lucia Pisapia Apicella (1887-1982), originaria di Cava, diede prova della testardaggine di cui i famigliari la tacciavano a tal punto da affibbiarle il soprannome di “briganta”: sin da giovane aveva coltivato l’abitudine di recare quotidianamente conforto agli ammalati dell’ospedale cittadino, specialmente ai moribondi, nonostante i rischi cui andava incontro.

A dispetto della sua scolarizzazione – fu costretta ad interrompere gli studi al termine della terza elementare –  parve sempre animata da profonda intelligenza e carità, quasi a voler recuperare l’etica degli antichi Greci, secondo i quali bisognava garantire persino al proprio nemico una degna sepoltura; non a caso ella, dal giorno in cui vide dei ragazzi giocare a calcio col teschio diseppellito di un soldato, si consacrò alla missione di trovare e ricomporre, per restituirli alle famiglie, gli innumerevoli cadaveri rinvenuti nelle zone affette dalla guerra, il peggior morbo per gli esseri umani. Nel luglio del 1946 la donna ottenne un permesso dal sindaco per proseguire la sua ricerca di vite interrotte, senza timore di imbattersi negli ordigni bellici inesplosi posti di fianco ai resti umani. Col tempo rinvenne oltre settecento salme di soldati di nazionalità tedesca, polacca, americana, marocchina, su cui Lucia Pisapia Apicella vegliava e pregava al pari di una madre. Negli anni cinquanta divenne un caso internazionale, tanto che la stampa ne espose l’operato e fu insignita della massima onorificenza della Repubblica Federale Tedesca, vale a dire della “Gran Croce al Merito”, cui si aggiunsero riconoscimenti da parte del presidente Gronchi e di Papa Pio XII. Una vita esemplare al servizio del prossimo, che dimostra l’importanza di amare incondizionatamente l’altro, persino se non è più in vita e non può ricompensarci per la nostra filantropia.

Maria Elide Lovero

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