
francobollo commemorativo strage 27 ottobre
Anche quest’anno è stata commemorata yerevan la strage del 27 ottobre 1999. Alla commemorazione hanno preso parte i parenti delle vittime e le alte autorità dello Stato. Il primo ministro Nikol Pashinyan, insieme al presidente della Repubblica Vahagn Khachaturyan e al presidente dell’Assemblea nazionale Alen Simonyan, hanno deposto fiori al monumento in memoria dei caduti.
Il 27 ottobre 1999, alle 17:15, cinque uomini armati guidati dal giornalista Nairi Hunanyan irruppero nell’Assemblea Nazionale armena aprendo il fuoco con fucili Kalashnikov. La carneficina costò la vita a otto personalità di primo piano: il Primo Ministro Vazgen Sargsyan, eroe della guerra del Nagorno-Karabakh; il Presidente dell’Assemblea Karen Demirchyan; i vicepresidenti Yuri Bakhshyan e Ruben Miroyan; il ministro Leonard Petrosyan; i parlamentari Henrik Abrahamyan, Armenak Armenakyan e Mikayel Kotanyan.
Elementi inquietanti emergono dalla ricostruzione: alcuni parlamentari furono fatti uscire dalla sala prima della sparatoria, sollevando sospetti su una conoscenza preventiva dell’attentato. Ancor più controversa la sparizione di minuti cruciali dalle registrazioni delle telecamere a circuito chiuso del Parlamento, un “buco nero” mai spiegato neppure dai terroristi durante il processo, a cui si aggiunge anche la morte in stile servizi segreti anche del responsabile della registrazione, per un improvviso attacco di cuore dopo un caffè. I cinque esecutori furono condannati all’ergastolo nel 2003, ma l’indagine ufficiale non ha mai convinto. Nel 2002, il politico armeno Albert Bazeyan affermò che “il crimine mirava a rendere il potere di Kocharyan illimitato, eliminando fisicamente Demirchyan e Sargsyan”. Rima Demirchyan, vedova di Karen, dichiarò nel 2013 che la sparatoria fu “ordinata dall’estero” e non si trattò di un colpo di stato ma di un “assassinio programmato”. Aram Sargsyan, fratello di Vazgen e suo successore come Primo Ministro, sostenne che “molte domande rimangono senza risposta” e che la piena divulgazione dei fatti è “vitale” per l’Armenia.
L’assassinio concentrò il potere nelle mani di Kocharyan, che si trovò senza contrappesi. Il caso fu riaperto nel 2018 sotto il governo Pashinyan, e furono riprese una serie di possibili piste sul coinvolgimento straniero. Come sottolinea il Centro Studi Hrand Nazariantz di Bari, questa tragedia rappresenta una “pagina dolorosa che una gran maggior parte degli Armeni hanno preferito rimuovere dalla memoria, ma da qualche anno l’atteggiamento sta cambiando grazie alla rottura di numerosi tabù”.
A oltre due decenni di distanza, il 27 ottobre rimane una ferita aperta: fino a quando non emergerà la verità completa sulle registrazioni cancellate e sui mandanti, questa data continuerà a pesare sulla democrazia armena come mistero irrisolto.









