Palazzo Roberti, un gioiello storico a Mola di Bari

Esempio di architettura vanvitelliana in Terra di Bari

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Non a torto viene comunemente chiamato “Palazzo delle cento stanze” a causa della sua immensa mole, che si sviluppa e resiste da più di duecento anni su Piazza XX Settembre a Mola di Bari, a sud del capoluogo. Stiamo parlando di Palazzo Roberti, un edificio di pregio e di grande valore artistico che recentemente è stato reso fruibile per un evento culturale.

È stato quindi possibile ammirare i suoi splendidi interni che, normalmente, sono chiusi al pubblico, in attesa che siano effettuati importanti lavori di restauro ad opera del Comune. Questi, proprietario dell’edificio, sta infatti poco alla volta recuperando l’antica struttura per provare a rifunzionalizzarla destinandola ad attività culturali e per aprirla definitivamente a quanti interessati. Ma procediamo per gradi.

Il Palazzo Roberti venne costruito tra il 1773 e il 1780 per conto dell’omonima famiglia: questi non erano di origine nobile, ma avevano accumulato straordinarie ricchezze grazie all’attività di produzione e vendita dell’olio, i cui traffici partivano dal porto di Mola per seguire le principali tratte commerciali dell’epoca. Tanto grande era il benessere che i Roberti avevano raggiunto che furono in grado di chiamare direttamente da Napoli il progettista, probabilmente Vincenzo Ruffo di Cassano, già allievo di Vanvitelli (anche se non esistono prove concrete a sostegno di tale attribuzione).

Sicuramente, il palazzo presenta tutti i canoni architettonici del tardo Barocco napoletano: la facciata si sviluppa su tre livelli, con un piano ammezzato mascherato e destinato a cucine e depositi, il piano nobile vero e proprio e un ultimo livello destinato con tutta probabilità alla servitù. Le aperture e le finestre sono aggraziate nelle forme e presentano dei ricchi timpani arrotondati con cornici interrotte, che ricordano lo schema delle ville vesuviane del Miglio d’Oro.

Accedendo alla corte, si riesce a raggiungere l’ampio scalone monumentale a doppia rampa, che consente di elevarsi al piano nobile della struttura, vero elemento di pregio dell’intero edificio. Questo si sviluppa in più ambienti tra loro contigui che, in quanto luoghi di rappresentanza, presentano ricchi soffitti e decorazioni. Dopo il primo ambiente, in cui campeggia tra le Vittorie e altre figure tipiche lo stemma dei Roberti (stemma che avevano acquistato proprio perché di origine borghese), attraverso una serie di disimpegni si raggiunge l’ampio salone delle feste, che dà direttamente su Piazza XX Settembre.

Questo, di dimensioni immense, presenta ancora delle decorazioni parietali in legno dorato, che ospitano specchiere e tondi dipinti. Ma a rapire lo sguardo è sicuramente il soffitto, su cui, all’interno di festoni vegetali e decorazioni con trompe-l’oeil architettonici, è rappresentata una vasta scena centrale raffigurante le divinità dell’Olimpo. Queste, in maniera molto caratteristica, osservano e “benedicono” un’imbarcazione, che simboleggia l’attività imprenditoriale svolta dai Roberti, in chiave di esaltazione della famiglia.

Altri due ambienti sono particolarmente interessanti da analizzare: nello specifico, una sala che con ogni probabilità era la cappella del Palazzo e un altro salottino contiguo al salone delle feste. Nel primo ambiente si nota una decorazione “pompeiana”, che riprende gli schemi tipici delle due città romane distrutte dal Vesuvio che proprio in quegli anni venivano riscoperte. La seconda sala, invece, tra medaglioni dipinti e altri pannelli dorati di fattura simile a quelli del salone, spicca lo splendido soffitto, raffigurante Atena e Venere: la dea della Sapienza, nello specifico, spezza la freccia scagliata da Eros, seguito a sua volta da Venere, come a simboleggiare la vittoria del Sapere sulla Passione.

L’edificio ha seguito alterne vicende di proprietà, rimanendo di pertinenza dei Roberti fino al 1858, quando a seguito di un matrimonio passò agli Alberotanza. Questi, a causa delle condizioni economiche non proprio floride, decisero di spezzettare e rivendere il palazzo nel 1937. Fu solo negli anni ’60 che il Comune riuscì a riacquistare le diverse particelle, consapevole dell’importanza di poter disporre per la cittadinanza di un simile edificio dal valore storico inestimabile.

Giuseppe Mennea

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