Racconti dalla Puglia abbandonata – Il caso di Villa Tamborino

Da antica residenza di una famiglia di senatori a arena non autorizzata di softair

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Il nostro territorio, l’abbiamo capito, è pieno di testimonianze di un passato tanto inaspettato quanto importante. Esistono, poi, alcuni esempi che più di altri si prestano a narrare i tempi che furono. È il caso di Villa Tamborino a Maglie, che negli anni è passata da essere il casino di caccia di una famiglia di senatori del regno d’Italia a essere usata illegalmente come arena di softair. Ma andiamo con ordine.

La famiglia Tamborino-Frisari è una delle più importanti di Maglie. I suoi esponenti sono stati importanti proprietari terrieri e industriali, ed ebbero un ruolo non indifferente anche nello sviluppo delle vicende politiche a cavallo tra ‘800 e ‘900. La prima figura che consideriamo è quella di Achille Tamborino: egli fin dalla giovane età si spese per la cittadinanza, arrivando a comperare derrate alimentari per i suoi concittadini durante una carestia nel 1844. Suo zio, Francesco Saverio Giannotta, era un esponente locale della Carboneria e suo cugino, Giuseppe, fu sindaco di Maglie nel 1848, anno della concessione della Costituzione ad opera di Ferdinando II delle Due Sicilie (quando il Giannotta divenne deputato del Parlamento Napoletano). Achille Tamborino divenne, a Italia unificata, senatore del regno: importanti, poi, le sue azioni per conto dell’Acquedotto Pugliese e come fondatore della Banca cooperativa di Maglie. Tra le altre cose, ospitò in casa sua l’allora presidente del consiglio Francesco Crispi. Alla sua morte, non avendo figli, lasciò la sua eredità (patrimoniale e politica) al figlio di suo cugino, Vincenzo Tamborino. Questi fu segretario alla presidenza del senato e sindaco di Maglie (poi podestà) dal 1920 al 1942. Si adoperò per la realizzazione di opportune opere di bonifica, per l’ampliamento del porto di Otranto e per il raddoppio della linea ferroviaria Bologna-Otranto.

La famiglia disponeva di uno splendido palazzo, nei pressi del quale sorgeva una delle due residenze estive, attuale villa comunale di Maglie. L’altra, Villa Tamborino per l’appunto (conosciuta anche come Villa Casina o Villa Bobò) era adibita a casino di caccia. Fu costruita alla fine dell’Ottocento in puro stile Liberty: era situata al centro di un vasto bosco in cui erano allevati daini, lasciati liberi di aggirarsi nella proprietà. Si dice che qui trovò rifugio Vittorio Emanuele III durante la fuga da Roma a Brindisi. La struttura è stata abitata fino agli anni ’70, quando i proprietari si trasferirono nel centro urbano di Maglie. Da allora giace abbandonata ed è stata completamente depredata degli arredi e vandalizzata; un vasto incendio (molto probabilmente doloso) ne ha anche distrutto il parco. La situazione attuale della struttura è stata recentemente “documentata” da un servizio di Striscia la Notizia.

Si accede alla struttura tramite quello che originariamente era un lungo viale di pini, che conduce a un grande spiazzo circondato dalla natura incolta su cui si affaccia la villa. Questa si organizza su due livelli: al piano terra, oltre ad ambienti di rappresentanza e di servizio, c’era originariamente la foresteria (forse l’ambiente più danneggiato della struttura), la cappella e gli ambienti destinati alle carrozze; al primo piano, invece, troviamo quella che doveva essere l’abitazione vera e propria. Al centro troviamo un grande salone, affrescato secondo uno stile più classico, con la rappresentazione di alcuni putti che giocano al centro di un soffitto per lo più decorato da motivi geometrici e naturali. Ai lati del salone, invece, si sviluppano due appartamenti speculari decorati con motivi squisitamente Liberty. I due appartamenti constano di quattro stanze ciascuno e di un loggiato che affacciava sul retrostante giardino. Purtroppo, ciò che rimane delle antiche decorazioni è stato, negli anni, brutalmente sfregiato da murales e scritte di ogni sorta.

Se è vero che un popolo senza passato è un popolo senza futuro, il caso di Villa Tamborino è davvero paradossale, poiché a disgregarsi non è una semplice struttura, bensì la storia vera e propria (che quella villa rappresenta) di un’intera area della nostra Regione.

Giuseppe Mennea

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