Giulia Tofana: avvelenatrice spietata o giustiziera controversa?

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L’acqua tofana è un veleno incolore e inodore, altamente tossico per il corpo umano, tanto da provocarne la tacita morte nell’arco di un paio di settimane senza lasciare alcun sospetto di avvelenamento.

Ma qual è la partenogenesi di questa arma letale? E a quale scopo venne dapprima utilizzata?

Anzitutto, l’acqua tofana, nota anche come acqua tufania o tufanica, o ancora, come Manna di San Nicola (quest’ultimo appellativo venne impiegato come espediente di camuffamento), viene attribuita ad una mente tanto pericolosa quanto astuta ed affilata: Giulia Tofana, donna palermitana annoverata come una vera e propria serial killer alla quale sono attribuite circa 600 vittime , in un periodo fecondo che va dal 1633 al 1651.

Sulla scia della parente Thofania D’Adamo, criminale posta al patibolo con l’accusa di aver avvelenato il proprio coniuge, Giulia, fiancheggiata da un gruppo di cinque commare, tra le quali fa capolino la figliastra Giorlama Spana, dà vita ad un vero e proprio circolo vizioso che inizia ad allargarsi in maniera spropositata tanto da tangere altre realtà cittadine, come Napoli e Roma.

L’ingente domanda di acqua tofana è dapprima camuffata dalla sua efficiente commercializzazione: il veleno viene , difatti, venduto sottoforma di cosmetico o di fiala recante l’iconografia di San Nicola di Bari, accompagnato dalle istruzioni per l’uso, in maniere tale da evitare qualsiasi tipologia di inconveniente.

La preparazione dell’acqua tofana prevedeva lo scioglimento di limatura di piombo e antimonio in una miscela vaporosa di anidride arseniosa e acqua bollente , mescolati al succo estratto dalle bacche di belladonna.

Ad ogni modo la peculiarità più emblematica di questo veleno non constava tanto nella sua facile lavorazione quanto più nel modus operandi adoperata per conto della Tofana: ella era solita somministrare il proprio intruglio unicamente a donne vessate ed intrappolate nei loro rapporti matrimoniali.

Questo sogno controverso terminò nel 1651, quando la contessa di Ceri, facendo uso smodato dell’acqua tofana, uccise il proprio marito in maniera fin troppo repentina tanto da smuovere i sospetti dei parenti del defunto.

Venne aperta una vera e propria inchiesta che portò all’incarcerazione della Tofana la quale, torturata crudelmente,  venne obbligata a rivelare dei suoi affari loschi.

Dopo una vita di delittuosi pretesti, Giulia Tofana viene condannata all’impiccagione a forche erette in Campo de’ Fiori nello stesso anno, alla quale seguiranno solo pochi anni dopo le sue fedeli compagne.

Raffaello Quarto

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