Un incontro informale tra genitori, nonni, zii, future mamme e la psicologa dell’infanzia e dell’adolescenza Mariapia D’Attolico l’evento intitolato “Perché non mangi?” che si è svolto venerdì 29 giugno presso la farmacia comunale di Via Tenente de Venuto. Partendo dalle difficoltà dei più piccoli i presenti hanno intrapreso un piacevole dialogo sui possibili motivi del rifiuto del cibo da parte dei più piccoli. Un comportamento spesso spia dei disagi che i bambini già vivono nonostante la tenera età. Un’inappetenza che desta però non poche preoccupazioni in tutti coloro che li accudiscono e li crescono con amore. Proprio come accaduto ad una coppia di genitori “Per un anno e mezzo circa - spiega la signora - mio figlio non ha più mangiato”. “Fino a due anni mangiava di tutto, poi ha sofferto più volte di gastroenterite e solo dopo più di un anno– precisa il papà - ha ripreso a mangiare con più appetito. Durante questo lungo periodo mangiava solo quello che preferiva. Mia moglie ha provato anche a farsi aiutare da lui nel preparare pietanze e dolci. Lui si divertiva e si impegnava nella preparazione, ma poi non li desiderava. Abbiamo provato di tutto”. “Poi- riprende la madre del piccolo - con l’aiuto di uno sciroppo ha ripreso mangiare un po’ di più, ma ci sono ancora cose che rifiuta, ad esempio il cibo di scarsa consistenza come la marmellata che gradisce solo sulla fetta biscottata”. Una preoccupazione, quella per il cibo, anche per i nonni e per gli zii che spesso per impegni di lavoro dei genitori si trovano ad accudire i loro nipotini al momento del pasto.
“Anche mia nipote di tre anni non mangiava più molto, poi all’improvviso ha ripreso a mangiare un po’ di tutto- racconta una nonna - È ritornata a mangiare come prima anche perché lei da piccola ha sempre mangiato. A differenza della maggior parte dei bambini le piacciono molto anche le verdure: mangia tranquillamente le orecchiette con le rape, la pasta, i cavoli e le piace molto anche il sugo di pesce”. Tanti gli aneddoti sui loro piccoli da parte dei presenti all’incontro. Tra questi anche quello di un nonno che per convincere la nipotina a mangiare la pasta deve optare per lo stesso formato scelto “rigorosamente” da lei “Non ho mai mangiato così tante orecchiette in vita mia così come in questo periodo!” Esclama sorridendo.
Ansia ed allarmismi a volte inutili, a volte no che hanno però spinto i presenti a saperne di più. Ma quando occorre veramente preoccuparsi se un bambino non mangia? Sin dalla nascita ogni essere umano attraversa le diverse fasi della crescita ed altrettanti periodi differenti fino a stabilizzarsi tendenzialmente in età adulta. Ed il cibo sin dall’inizio è un elemento molto importante non solo dal punto di vista nutrizionale, ma anche con il suo valore relazionale e di condivisione. Basti pensare al neonato allattato dalla madre. In quel momento il piccolo non riceve solo il latte materno, ma anche messaggi di amore e calore oltre a sentirne il profumo. In quel momento il piccolo sperimenta per la prima volta il gusto ed il sapore dolce, ed è in quei primissimi momenti di vita che già inizia la sua educazione alimentare. Un momento di condivisione che deve continuare anche con il passaggio alle pappe e successivamente ai diversi alimenti.
Sia in queste primissime fasi che dopo il bambino deve avere i suoi tempi, deve poter godere degli sguardi e delle carezze della madre e della possibilità anche di sporcarsi o di non gradire qualche pappa se non gli piace. Pur cambiando le modalità, il momento del pasto deve essere sempre vissuto seguendo il principio guida della condivisione in un primo tempo solo con la mamma e successivamente con il nucleo familiare. Il tutto nella massima serenità evitando che il piccolo possa viverlo con ansia. Anche nel caso in cui il bambino piange perché ha fame non bisogna essere subito lì pronti a dargli il latte ma fargli avvertire il bisogno di mangiare senza ovviamente fargli attendere troppo.
È in quel momento infatti che si rende conto di aver fame e che per soddisfare questa sua esigenza, il bambino chiederà aiuto all’esterno. È allora che inizia ad avere maggiore consapevolezza della propria persona e contemporaneamente ad avere fiducia nel mondo che lo circonda. A volte può capitare che durante le varie fasi della crescita si rifiuti di mangiare pur non essendo affetto da alcuna patologia. In questo caso ovviamente non c’è una risposta univoca, ma occorrerà approfondire situazione per situazione. Ogni bambino è diverso dall’altro ed il rifiuto del cibo può manifestare un disagio che il piccolo, non riuscendo a comunicare compiutamente a parole, manifesta ponendo in essere questo tipo di comportamento.
Bisogna però partire dal presupposto che essere selettivi con il cibo è fisiologico. Ci sono dei sapori che piacciono di più ed altri meno. Ed è fondamentale anche sottolineare che spesso si può avere una percezione non corretta di quella che è l’alimentazione dei propri bambini. Occorre cioè capire se oggettivamente il bambino anche rifiutandosi di mangiare determinati alimenti, assumendone altri, riesce ad apportare comunque il giusto fabbisogno giornaliero di elementi nutritivi. Ci sono infatti piccoli che pur non volendo il formaggio, bevono il latte apportando quindi ugualmente il calcio necessario alla crescita. “L’importante è non utilizzare mai il cibo per consolare o per punire”. Ha precisato durante l’incontro Mariapia D’Attolico. Se ad esempio la mamma vede piangere il proprio neonato ha infinite risorse per poterlo calmare che vanno al di là del latte materno: accarezzarlo, tenerlo in braccio, parlargli dolcemente.
A tavola inoltre è importante condividere il momento del pasto non isolando il bambino, ma mangiando tutti insieme parlando della propria giornata, assaporando ciò che si mangia e valorizzando il gusto personale del piccolo facendosi raccontare cosa gli è piaciuto di più, cosa di meno ed il perché. Nel caso di alimenti non graditi, far scegliere a lui quella frutta o quella verdura che più preferisce per poi però mangiarla davvero. Se, invece, non si riuscisse comunque a superare il disagio del bambino, potrebbe essere utile anche un intervento esterno tramite la consulenza tempestiva di un psicologo. “Poche regole, ma chiare e condotte con la massima coerenza” Ha precisato la psicologa dell’infanzia e dell’adolescenza D’Attolico. Questo l’approccio più idoneo all’educazione alimentare dei propri bambini perché il cibo è veicolo di relazione e di condivisione, tramite il quale non passa solo il giusto nutrimento, ma anche un importantissimo messaggio educativo.
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